Fonte Vatican News
La lettera “Samaritanus Bonus” della Congregazione della Fede sulla cura delle persone nella fase terminale della vita ribadisce il no della Chiesa anche all’aborto e al suicidio assistito.
All’indomani della presentazione ne abbiamo parlato con don Roberto Colombo, bioeticista, docente dell’Università Cattolica di MIlano
La Lettera della Congregazione della Fede, approvata dal Papa sulla sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, “Samaritanus Bonus”, è un testo “di alto profilo per la completezza delle questioni affrontate, la ricchezza delle fonti, la robustezza delle argomentazioni e l’attualità dei problemi discussi”. Così all’indomani della pubblicazione del testo, a Radio Vaticana Italia, parla don Roberto Colombo, medico, docente dell’Università Cattolica, membro della Pontificia Accademia per la Vita.
La Lettera, afferma don Colombo, ” appartiene alla grande tradizione delle risposte, dichiarazioni e istruzioni della Congregazione che hanno preceduto, accompagnato e seguito i discorsi dei pontefici e l’enciclica ‘Evangelium vitae’ sul valore e l’inviolabilità della vita umana, la ‘magna charta’ della bioetica cattolica. Essa riafferma con forza l’insegnamento di sempre della Chiesa. Nessuna azione od omissione che provochi intenzionalmente la morte anticipata di un malato o di un disabile grave, neppure su sua richiesta, è moralmente accettabile, in quanto si tratta di un atto intrinsecamente malvagio in qualsiasi occasione e circostanza”.
Don Colombo, nel campo medico, è possibile distinguere tra curare e guarire?
R.- Sì. Nel cuore delle Lettera “Samaritanus bonus” sta la fondamentale e irrinunciabile distinzione medico-infermieristica, clinica, antropologica ed etica tra “curare” e “guarire”. Purtroppo numerose malattie sono anche oggi inguaribili. Ma “inguaribile” non è un concetto né sinonimo né coestensivo di “incurabile”. Non esistono malati, né disabili gravi, né morenti che sono incurabili. Possiamo e dobbiamo prenderci cura di tutti gli “inguaribili” fino all’ultimo istante della loro vita, attraverso l’assistenza delle loro funzioni fisiologiche essenziali, e il conforto degli affetti e della fede.
La Lettera ribadisce come aborto, eutanasia e suicidio assistito offendano il valore della vita…
R.- La vita umana ha sempre valore, è sempre un bene, come scriveva San Giovanni Paolo II nella enciclica Evangelium vitae, ripresa più volte dalla Lettera della Congregazione. Un valore, un bene che non dipende dalle sue “qualità” fisiche, psicologiche o spirituali. Né dalle circostanze in cui il malato o il disabile si trova a vivere. Togliere la vita è una scelta sempre sbagliata.
Idratare e alimentare restano obbligatori?
R.- Idratazione e alimentazione, finché sono appropriate clinicamente per mantenere le funzioni vitali essenziali e l’omeostasi del corpo del malato, non possono essere interrotte perché rappresentano una forma di “cura” e non di “terapia”. Non servono a guarire, ma a prendersi cura della vita del paziente, così come altre forme di assistenza non terapeutica. Al contrario, terapie futili, che non giovano al malato e possono provocare ulteriori sofferenze o essere gravose, devono venire interrotte per non configurare un inaccettabile accanimento terapeutico, come richiamato dalla Lettera.
La sedazione del paziente si può definire una cura?
R.- La sedazione del paziente può legittimamente entrare a far parte delle cure palliative. La sedazione non è una terapia che di per sé fa guarire da una malattia, ma cura il sintomo del dolore che la malattia provoca. Per questo la sedazione può essere un bene per il malato. Tuttavia , ricorda la Lettera, la sedazione profonda indotta allo scopo di poter praticare l’eutanasia o il suicidio assistito è sempre inaccettabile perché fa parte di un protocollo clinico che causa «direttamene e intenzionalmente la morte.
Davanti a leggi che approvano l’eutanasia la Lettera sollecita i medici all’obiezione di coscienza…
R.- Le leggi che approvano l’eutanasia e il suicidio assistito sono ingiuste e «non creano obblighi per la coscienza» del medico e dei suoi collaboratori e «sollevano un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza», che nessun ordinamento democratico può escludere perché è un diritto inalienabile del cittadino.
Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede
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