INTRODUZIONE
Il valore della penitenza per il nostro tempo
1. Il digiuno e l’astinenza — insieme alla preghiera, all’elemosina e alle altre opere di carità — appartengono, da sempre, alla vita e alla prassi penitenziale della Chiesa: rispondono, infatti, al bisogno permanente del cristiano di conversione al regno di Dio, di richiesta di perdono per i peccati, di implorazione dell’aiuto divino, di rendimento di grazie e di lode al Padre.
Nella penitenza è coinvolto l’uomo nella sua totalità di corpo e di spirito: l’uomo che ha un corpo bisognoso di cibo e di riposo e l’uomo che pensa, progetta e prega; l’uomo che si appropria e si nutre delle cose e l’uomo che fa dono di esse; l’uomo che tende al possesso e al godimento dei beni e l’uomo che avverte l’esigenza di solidarietà che lo lega a tutti gli altri uomini. Digiuno e astinenza non sono forme di disprezzo del corpo, ma strumenti per rinvigorire lo spirito, rendendolo capace di esaltare, nel sincero dono di sé, la stessa corporeità della persona.
Ma perché il digiuno e l’astinenza rientrino nel vero significato della prassi penitenziale della Chiesa devono avere un’anima autenticamente religiosa, anzi cristiana. Ci preme pertanto riproporre il significato del digiuno e dell’astinenza secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù e secondo l’esperienza spirituale della comunità cristiana. Occorre, per questo, riscoprirne l’identità originaria e lo spirito autentico alla luce della parola di Dio e della viva tradizione della Chiesa. Occorre poi precisarne le modalità espressive in riferimento alle condizioni di vita del nostro tempo.
Il digiuno e l’astinenza, infatti, rientrano in quelle forme di comportamento religioso che sono costantemente soggette alla mutazione degli usi e dei costumi. In questo senso la Delibera dell’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana del 18 aprile 1985 chiede che si stabiliscano le opportune determinazioni a norma dei canoni 1251 e 1253 del Codice di Diritto Canonico per l’osservanza del digiuno e dell’astinenza nelle Chiese che sono in Italia (1).
È quanto noi Vescovi italiani intendiamo fare con la presente Nota pastorale, che indirizziamo a tutti i membri della comunità ecclesiale, presbiteri, diaconi, religiosi e fedeli laici, per sollecitare una convinta e vigorosa ripresa della prassi penitenziale all’interno del popolo cristiano. Ciò è richiesto, anzitutto, per essere fedeli alle esigenze evangeliche della penitenza, ma anche per dare una coerente risposta alla sfida del consumismo e dell’edonismo diffusi nella nostra società. In tal senso condividiamo la convinzione espressa da Paolo VI all’indomani del Concilio Vaticano II nella Costituzione apostolica Paenitemini: «Tra i gravi e urgenti problemi che si pongono alla nostra sollecitudine pastorale, non ultimo ci sembra quello di richiamare ai nostri figli — e a tutti gli uomini religiosi del nostro tempo — il significato e l’importanza del precetto divino della penitenza» (2).
– I – IL DIGIUNO E L’ASTINENZA NELL’ESPERIENZA STORICA DELLA CHIESA
Il digiuno nell’esempio e nella parola di Gesù
2. Il digiuno dei cristiani trova il suo modello e il suo significato nuovo e originale in Gesù. E vero che il Maestro non impone in modo esplicito ai discepoli nessuna pratica particolare di digiuno e di astinenza. Ma ricorda la necessità del digiuno per lottare contro il maligno e durante tutta la sua vita, in alcuni momenti particolarmente significativi, ne mette in luce l’importanza e ne indica lo spirito e lo stile secondo cui viverlo. Quaranta giorni di digiuno precedono il combattimento spirituale delle “tentazioni”, che Gesù affronta nel deserto e che supera con la ferma adesione alla parola di Dio: «Ma egli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”» (Mt 4,4) (3). Con il suo digiuno Gesù si prepara a compiere la sua missione di salvezza in filiale obbedienza al Padre e in servizio d’amore agli uomini. Riprendendo la pratica e il valore del digiuno in uso presso il popolo di Israele, Gesù ne afferma con forza il significato essenzialmente interiore e religioso, e rifiuta pertanto gli atteggiamenti puramente esteriori e «ipocriti» (cfr. Mt 6,1-6.16-18): digiuno, preghiera ed elemosina sono un atto di offerta e di amore al Padre «che è nel segreto» e «che vede nel segreto» (Mt 6,18). Sono un aspetto essenziale della sequela di Cristo da parte dei discepoli. Quando gli viene domandato per quale motivo i suoi discepoli non praticano le forme di digiuno che sono in uso presso taluni ambienti del giudaismo del tempo, Gesù risponde: «Finché [gli invitati alle nozze] hanno lo sposo con loro, non possono digiunare» (Mc 2,19). La pratica penitenziale del digiuno non è adatta a manifestare la gioia della comunione sponsale dei discepoli con Gesù. Ma egli subito aggiunge: «Verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno» (Mc 2,20). In queste parole la Chiesa trova il fondamento dell’invito al digiuno come segno di partecipazione dei discepoli all’evento doloroso della passione e della morte del Signore, e come forma di culto spirituale e di vigilante attesa, che si fa particolarmente intensa nella celebrazione del Triduo della Santa Pasqua. Il riferimento a Cristo e alla sua morte e risurrezione è essenziale e decisivo per definire il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, come di ogni altra forma di mortificazione: «Se qualcuno vuoi venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). E infatti nella sequela di Cristo e nella conformità con la sua croce gloriosa che il cristiano trova la propria identità e la forza per accogliere e vivere con frutto la penitenza.
La prassi penitenziale nell’Antico Testamento
3. La pratica del digiuno, così come quella dell’elemosina e della preghiera, non è una novità portata da Gesù: egli rimanda all’esperienza religiosa del popolo d’Israele, dove il digiuno è praticato come momento di professione di fede nell’unico vero Dio, fonte di ogni bene, e come elemento necessario per superare le prove alle quali sono sottoposte la fede e la fiducia nel Signore. Mosè ed Elia si astengono dal cibo per prepararsi all’incontro con Dio (4). La coscienza del peccato, il dolore e il pentimento, la conversione e l’espiazione, pur manifestandosi in molteplici modi, trovano nel digiuno la loro espressione più naturale e immediata (5). Le celebrazioni penitenziali, in tempo di gravi calamità e nei momenti decisivi dell’Alleanza fra Dio e il suo popolo, comportano anche l’indizione di un solenne digiuno per l’intera comunità (6). A rendere più intensa l’implorazione della preghiera, Israele ricorre alla prostrazione fisica che segue alla rinuncia del cibo (7). Privandosi del cibo, alcuni protagonisti della storia del popolo d’Israele riconoscono i limiti della loro forza umana e si appellano alla forza di Dio, che solo li può salvare (8). E tuttavia anche nelle pratiche di digiuno, come in ogni espressione della religiosità, si possono annidare molte insidie: l’autocompiacimento, la pretesa di rivendicare diritti di fronte a Dio, l’illusione di esimersi con un dovere cultuale dai più stringenti doveri verso il prossimo. Per questo il profeta denuncia la falsità del formalismo e predica il vero digiuno che il Signore vuole: «Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo… Dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo» (Is 58,6-7). C’è dunque un intimo legame fra il digiuno e la conversione della vita, il pentimento dei peccati, la preghiera umile e fiduciosa, l’esercizio della carità fraterna e la lotta contro l’ingiustizia: «Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia» (Tob 12,8).
La vita nuova secondo lo Spirito
4. Per il cristiano la mortificazione non è mai fine a se stessa né si configura come semplice strumento di controllo di sé, ma rappresenta la via necessaria per partecipare alla morte gloriosa di Cristo: in questa morte egli viene inserito con il Battesimo e dal Battesimo riceve il dono e il compito di esprimerla nella vita morale (cfr. Rm 6,3-4), in una condotta che comporta il dominio su tutto ciò che è segno e frutto del male: «fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria» (Col 3,5). L’adesione a Cristo morto e risorto e la fedeltà al dono della vita nuova e della vera libertà esigono la lotta contro il peccato che inquina il cuore dell’uomo, e contro tutto ciò che al peccato conduce: di qui la necessità della rinuncia. «Cristo ci ha liberati perché restassimo liben» (Gal 5,1). Consapevole di questa responsabilità, l’apostolo Paolo, ad imitazione degli atleti che si preparano a gareggiare nello stadio, afferma senza timori: «Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato» (1Cor 9,27). L’impegno al dominio di sé e alla mortificazione è dunque parte integrante dell’esperienza cristiana come tale e rientra nelle esigenze della vita nuova secondo lo Spirito: «Vi dico dunque: Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne… Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,16.22). In particolare, per il cristiano l’astinenza non nasce dal rifiuto di alcuni cibi come se fossero cattivi: egli accoglie l’insegnamento di Gesù, per il quale non esistono né cibi proibiti né osservanze di semplice purità legale: «Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo» (Mc 7,15).
La tradizione spirituale e pastorale della Chiesa
5. La dottrina e la pratica del digiuno e dell’astinenza, da sempre presenti nella vita della Chiesa, assumono una fisionomia più definita negli ambienti monastici del IV secolo, sia con la sottolineatura abituale della frugalità, sia con la privazione del cibo in determinati tempi dell’anno liturgico. Nel medesimo periodo, sotto l’influsso degli usi monastici, le comunità ecclesiali delineano le forme concrete della prassi penitenziale. La pratica antica del digiuno consiste normalmente nel consumare un solo pasto nella giornata, dopo il vespro, a cui fa seguito, abitualmente, la riunione serale per l’ascolto della parola di Dio e la preghiera comunitaria. Si consolida, attraverso i secoli, l’usanza secondo cui quanto i cristiani risparmiano con il digiuno venga destinato per l’assistenza ai poveri ed agli ammalati. «Quanto sarebbe religioso il digiuno, se quello che spendi per il tuo banchetto lo inviassi ai poveri!» (9), esorta Sant’Ambrogio; e Sant’Agostino gli fa eco: «Diamo in elemosina quanto riceviamo dal digiuno e dall’astinenza» (10). Così l’astensione dal cibo è sempre unita all’ascolto e alla meditazione della parola di Dio, alla preghiera e all’amore generoso verso coloro che hanno bisogno. In questo senso San Pietro Crisologo afferma: «Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola, e ricevono vita l’una dall’altra. Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia» (11). Nel IV secolo prende corpo anche l’organizzazione del tempo della Quaresima per i catecumeni e per i penitenti. Questo viene proposto e vissuto come cammino di preparazione alla rinascita pasquale nel Battesimo e nella Penitenza (12)e quindi è orientato verso il Triduo pasquale, centro e cardine dell’anno liturgico che celebra l’intera opera della redenzione e che costituisce l’itinerario privilegiato di fede della comunità cristiana (13). Per questo San Leone Magno può dire che il vero digiuno quaresimale consiste «nell’astenersi non solo dai cibi, ma anche e soprattutto dai peccati». (14) Durante l’epoca medioevale e moderna, la pratica penitenziale viene tenuta in grande considerazione, diventando oggetto di numerosi interventi normativi ed entrando a far parte delle osservanze religiose più comuni e diffuse tra il popolo cristiano.
Il Concilio e il rinnovamento della disciplina penitenziale
6. Il Concilio Vaticano II, nella sua finalità di cammino verso la santità e di «aggiornamento pastorale», chiede che siano rinnovate le disposizioni della Chiesa sul digiuno e sull’astinenza, chiarendone le motivazioni nel contesto attuale della vita cristiana personale e comunitana (15). Alla richiesta del Concilio risponde Paolo VI con la Costituzione apostolica Paenitemini sulla disciplina penitenziale (17 febbraio 1966). In essa viene richiamato in particolare il valore della penitenza come atteggiamento interiore, come «atto religioso personale, che ha come termine l’amore e l’abbandono nel Signore: digiunare per Dio, non per se stessi» (16). Da questo valore fondamentale dipende l’autenticità di ogni forma penitenziale. In questo contesto Paolo VI sollecita tutti a riscoprire e a vivere il collegamento del digiuno e dell’astinenza con le altre forme di penitenza e soprattutto con le opere di carità, di giustizia e di solidarietà: «Là dove è maggiore il benessere economico, si dovrà piuttosto dare testimonianza di ascesi, affinché i figli della Chiesa non siano coinvolti dallo spirito del “mondo”, e si dovrà dare nello stesso tempo una testimonianza di carità verso i fratelli che soffrono nella povertà e nella fame, oltre ogni barriera di nazioni e di continenti. Nei paesi invece dove il tenore di vita è più disagiato, sarà più accetto al Padre e più utile alle membra del Corpo di Cristo che i cristiani — mentre cercano con ogni mezzo di promuovere una migliore giustizia sociale — offrano, nella preghiera, la loro sofferenza al Signore, in intima unione con i dolori di Cristo» (17).
– II – IL DIGIUNO E L’ASTINENZA NELLA VITA ATTUALE DELLA CHIESA
L’originalità del digiuno cristiano
7. Di fronte al rapido mutare delle condizioni sociali e culturali caratteristico del nostro tempo, e in particolare di fronte al moltiplicarsi dei contatti interreligiosi e al diffondersi di nuovi fenomeni di costume, diventa sempre più necessario riscoprire e riaffermare con chiarezza l’originalità del digiuno e dell’astinenza cristiani. Oggi, infatti, il digiuno viene praticato per i più svariati motivi e talvolta assume espressioni per così dire laiche, come quando diventa segno di protesta, di contestazione, di partecipazione alle aspirazioni e alle lotte degli uomini ingiustamente trattati. Circa poi l’astinenza da determinati cibi, oggi si stanno diffondendo tradizioni ascetico-religiose che si presentano non poco diverse da quella cristiana. Pur guardando con rispetto a queste usanze e prescrizioni — specialmente a quelle degli ebrei e dei musulmani —, la Chiesa segue il suo Maestro e Signore, per il quale tutti i cibi sono in sé buoni e non sono sottoposti ad alcuna proibizione religiosa (18), e accoglie l’insegnamento dell’apostolo Paolo che scrive: «Chi mangia, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio» (Rm 14,6). In tal senso, qualsiasi pratica di rinuncia trova il suo pieno valore, secondo il pensiero e l’esperienza della Chiesa, solo se compiuta in comunione viva con Cristo, e quindi se è animata dalla preghiera ed è orientata alla crescita della libertà cristiana, mediante il dono di sé nell’esercizio concreto della carità fraterna. Custodire l’originalità della penitenza cristiana, proporla e viverla in tutta la ricchezza spirituale del suo contenuto nelle condizioni attuali di vita è un compito che la Chiesa deve assolvere con grande vigilanza e coraggio.
Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione
8. In rapporto all’originalità del digiuno e dell’astinenza è da risvegliare la consapevolezza che la prassi penitenziale della Chiesa, nelle sue forme molteplici e diverse, raggiunge il suo vertice nel sacramento della Penitenza e della Riconciliazione. Il cammino per la conversione del cuore, il desiderio e l’impegno per il rinnovamento spirituale, l’apertura sincera al «credere al vangelo» (cfr. Mc 1,15) trovano la loro verità piena e la loro singolare efficacia nel segno sacramentale della salvezza, operata dalla morte e risurrezione di Gesù e da lui donata alla Chiesa con l’effusione del suo Spirito. Solo nell’inserimento nel mistero di Cristo morto e risorto, mediante la fede e i sacramenti, tutti i gesti, grandi e piccoli, di penitenza e di digiuno e tutte le opere, note e nascoste, di carità e di misericordia acquistano significato e valore di salvezza. Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione si rivela in tal modo necessario non solo per ottenere il perdono dei peccati commessi dopo il Battesimo, ma anche per assicurare autenticità e profondità alla virtù della penitenza e alle diverse pratiche penitenziali della vita cristiana. Dal rifiorire di una più diffusa e frequente partecipazione a questo sacramento, vissuto nella fede in tutti gli atti che lo compongono — dall’umile confessione delle colpe al pentimento, dal proposito di rinnovare la propria vita all’accoglienza del dono divino della misericordia, fino al compimento della soddisfazione —‘ l’insieme della prassi penitenziale della Chiesa potrà acquistare la pienezza del suo significato interiore e religioso, e farsi strumento di sincero e genuino rinnovamento morale e spirituale. Mediante il sacramento, infatti, lo Spirito crea il cuore nuovo, diventando così legge di vita, ossia risorsa di grazia e sollecitazione per un’esistenza convertita e penitente (19).
I giorni penitenziali di digiuno e di astinenza
9. Il digiuno e l’astinenza, nella loro originalità cristiana, presentano anche un valore sociale e comunitario: chiamato a penitenza non è solo il singolo credente, ma l’intera comunità dei discepoli di Cristo (20). Per rendere più manifesto il carattere comunitario della pratica penitenziale la Chiesa stabilisce che i fedeli facciano digiuno e astinenza negli stessi tempi e giorni: è così l’intera comunità ecclesiale ad essere comunità penitente. Questi tempi e giorni, come scrive Paolo VI, vengono scelti dalla Chiesa «fra quelli che, nel corso dell’anno liturgico, sono più vicini al mistero pasquale di Cristo o vengono richiesti da particolari bisogni della comunità ecclesiale» (21). Fin dai primi secoli il digiuno pasquale si osserva il Venerdì santo e, se possibile, anche il Sabato santo fino alla Veglia pasquale (22); così come si ha cura di iniziare la Quaresima, tempo privilegiato per la penitenza in preparazione alla Pasqua, con il digiuno del Mercoledì delle Ceneri o per il rito ambrosiano con il digiuno del primo venerdì di Quaresima. Mentre il digiuno nel Sacro Triduo è un seguo della partecipazione comunitaria alla morte del Signore, quello d’inizio della Quaresima è ordinato alla confessione dei peccati, alla implorazione del perdono e alla volontà di conversione. Anche i venerdì di ogni settimana dell’anno sono giorni particolarmente propizi e significativi per la pratica penitenziale della Chiesa, sia per il loro richiamo a quel Venerdì che culmina nella Pasqua, sia come preparazione alla comunione eucaristica nella assemblea domenica-le: in tal modo i cristiani si preparano alla gioia fraterna della «Pasqua settimanale» — la domenica, il giorno del Signore risorto — con un gesto che manifesta la loro volontà di conversione e il loro impegno di novità di vita. La celebrazione della domenica sollecita, infatti, la comunità cristiana a dare concretezza e slancio alla propria testimonianza di carità: «E soprattutto la domenica il giorno in cui l’annuncio della carità celebrato nell’Eucaristia può esprimersi con gesti e segni visibili concreti, che fanno di ogni assemblea e di ogni comunità il luogo della carità vissuta nell’incontro fraterno e nel servizio verso chi soffre e ha bisogno. Il giorno del Signore si manifesta così come il giorno della Chiesa e quindi della solidarietà e della comunione» (23). Ciò acquista maggior significato se la domenica è stata preceduta dal venerdì di digiuno, di astinenza e di mortificazione, ordinati alla preghiera e alla carità
Nuove forme penitenziali
10. Le profonde trasformazioni sociali e culturali, che segnano i costumi di vita del nostro tempo, rendono problematici, se non addirittura anacronistici e superati, usi e abitudini di vita fino a ieri da tutti accettati. Per la pratica dell’astinenza, si pensi alla distinzione tra cibi «magri» e cibi «grassi»: una simile distinzione porta in sé il rischio di allontanarsi da quella sobrietà che appartiene al genuino spirito penitenziale e di ricercare di fatto cibi particolarmente raffinati e costosi, che di per sé non contrastano con le norme tradizionali fissate dalla Chiesa. Diventa allora necessario ripensare le forme concrete secondo cui la prassi penitenziale deve essere vissuta dalla Chiesa dei nostri giorni perché rimanga nella sua originaria verità. Le comunità ecclesiali, come pure ogni singolo cristiano, sono impegnati a trovare i modi più adatti per praticare il digiuno e l’astinenza secondo l’autentico spirito della tradizione della Chiesa, nella fedeltà viva alla loro originalità cristiana. Questi modi consistono nella privazione e comunque in una più radicale moderazione non solo del cibo, ma anche di tutto ciò che può essere di qualche ostacolo ad una vita spirituale pronta al rapporto con Dio nella meditazione e nella preghiera, ricca e feconda di virtù cristiane e disponibile al servizio umile e disinteressato del prossimo. Il nostro tempo è caratterizzato, infatti, da un consumo alimentare che spesso giunge allo spreco e da una corsa sovente sfrenata verso spese voluttuarie, e, insieme, da diffuse e gravi forme di povertà, o addirittura di miseria materiale, culturale, morale e spirituale. In particolare, il divario tra Nord e Sud del mondo presenta abitualmente una diversità di condizioni economiche e sociali veramente spaventosa. A fronte di paesi e nazioni del Nord del pianeta, dove vige un tenore di vita molto alto, intere popolazioni del Sud vivono in condizioni subumane di povertà, di malattia e di miseria. In questo contesto, il problema del digiuno e dell’astinenza si collega, a suo modo, con il problema della giustizia sociale e della solidale condivisione dei beni su scala nazionale e mondiale. E in questione allora la responsabilità di tutti e di ciascuno: anche la singola persona è sollecitata ad assumere uno stile di vita improntato ad una maggiore sobrietà e talvolta anche all’austerità, e nello stesso tempo capace di risvegliare una forte sensibilità per gesti generosi verso coloro che vivono nell’indigenza e nella miseria. Il grido dei poveri che muoiono di fame non può essere inteso come un semplice invito ad un qualche gesto di carità; è piuttosto un urlo disperato che reclama giustizia ed esige che i gesti religiosi del digiuno e dell’astinenza diventino il segno trasparente di un più ampio impegno di giustizia e di solidarietà: «Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne» (Am 5,23-24).
Alcuni settori di particolare attenzione
11. Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza spingerà i credenti non solo a coltivare una più grande sobrietà di vita, ma anche ad attuare un più lucido e coraggioso discernimento nei confronti delle scelte da fare in alcuni settori della vita di oggi: lo esige la fedeltà agli impegni del Battesimo. Ricordiamo, a titolo di esempio, alcuni comportamenti che possono facilmente rendere tutti, in qualche modo, schiavi del superfluo e persino complici dell’ingiustizia: – il consumo alimentare senza una giusta regola, accompagnato a volte da un intollerabile spreco di risorse; – l’uso eccessivo di bevande alcooliche e di fumo; – la ricerca incessante di cose superflue, accettando acriticamente ogni moda e ogni sollecitazione della pubblicità commerciale; – le spese abnormi che talvolta accompagnano le feste popolari e persino alcune ricorrenze religiose; – la ricerca smodata di forme di divertimento che non servono al necessario recupero psicologico e fisico, ma sono finì a se stesse e conducono ad evadere dalla realtà e dalle proprie responsabilità; – l’occupazione frenetica, che non lascia spazio al silenzio, alla riflessione e alla preghiera; – il ricorso esagerato alla televisione e agli altri mezzi di comunicazione, che può creare dipendenza, ostacolare la riflessione personale e impedisce il dialogo in famiglia. I cristiani sono chiamati dalla grazia di Cristo a comportarsi «come i figli della luce» e quindi a non partecipare «alle opere infruttuose delle tenebre» (Ef 5,8.11). Così, praticando un giusto «digiuno» in questi e in altri settori della vita personale e sociale, i cristiani non solo si fanno solidali con quanti, anche non cristiani, tengono in grande considerazione la sobrietà di vita come componente essenziale dell’esistenza morale, ma anche offrono una preziosa testimonianza di fede circa i veri valori della vita umana, favorendo la nostalgia e la ricerca di quella spiritualità di cui ogni persona ha grande bisogno.
Il digiuno e la testimonianza di carità
12. Lo stile, con il quale Gesù invita i discepoli a digiunare, insegna che la mortificazione è sì esercizio di austerità in chi la pratica, ma non per questo deve diventare motivo di peso e di tristezza per il prossimo, che attende un atteggiamento sereno e gioioso. Questa delicata attenzione agli altri è una caratteristica irrinunciabile del digiuno cristiano, al punto che esso è sempre stato collegato con la carità: il frutto economico della privazione del cibo o di altri beni non deve arricchire colui che digiuna, ma deve servire per aiutare il prossimo bisognoso: «I cristiani devono dare ai poveri quanto, grazie al digiuno, è stato messo da parte», ammonisce la Didascalia Apostolica (24). In questo senso il digiuno dei cristiani deve diventare un segno concreto di comunione con chi soffre la fame, e una forma di condivisione e di aiuto con chi si sforza di costruire una vita sociale più giusta e umana. Anche all’interno del nostro Paese, dove permangono e «per certi versi si accentuano acute contraddizioni, come le molteplici forme di povertà, antiche e nuove» (25), la Chiesa si sente interpellata a rivivere e riproporre, nello spirito del vangelo della carità, la pratica penitenziale come segno e stimolo concreto a farsi carico delle situazioni di bisogno e ad aiutare le persone, le famiglie e le comunità nell’affrontare i problemi quotidiani della vita. Così, i digiuni che accompagnano alcune manifestazioni pubbliche, come sono le assemblee di preghiera e le marce di solidarietà, possono sollecitare persone e famiglie, ma anche comunità e istituzioni, a trovare risorse da mettere a disposizione di organismi impegnati in opere di assistenza e di promozione sociale. In tal modo è possibile realizzare iniziative di soccorso per i più poveri, come i servizi di prima accoglienza o i sostegni domiciliari per le persone anziane, e nello stesso tempo sensibilizzare le comunità alle esigenze della pace, rendendole accoglienti e solidali con le vittime della violenza e delle guerre.
– III – DISPOSIZIONI NORMATIVE E ORIENTAMENTI PASTORALE
Disposizioni normative
13. Concludiamo la presente Nota pastorale con le seguenti disposizioni normative, che trovano la loro ispirazione e forza nel canone 1249 del Codice di diritto canonico: «Per legge divina, tutti i fedeli sono tenuti a fare penitenza, ciascuno a proprio modo; ma perché tutti siano tra loro uniti da una comune osservanza della penitenza, vengono stabiliti dei giorni penitenziali in cui i fedeli attendano in modo speciale alla preghiera, facciano opere di pietà e di carità, sacrifichino se stessi compiendo più fedelmente i propri doveri e soprattutto osservando il digiuno e l’astinenza». Queste disposizioni normative sono la determinazione della disciplina penitenziale della Chiesa universale (26), che i canoni 1251 e 1253 del Codice di diritto canonico affidano alle Conferenze Episcopali. 1) La legge del digiuno «obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po’ di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate» (27). 2) La legge dell’astinenza proibisce l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi. 3) Il digiuno e l’astinenza, nel senso sopra precisato, devono essere osservati il Mercoledì delle Ceneri (o il primo venerdì di Quaresima per il rito ambrosiano) e il Venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo; sono consigliati il Sabato Santo sino alla Veglia pasquale (28). 4) L’astinenza deve essere osservata in tutti e singoli i venerdì di Quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità (come il 19 o il 25 marzo). In tutti gli altri venerdì dell’anno, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità, si deve osservare l’astinenza nel senso detto oppure si deve compiere qualche altra opera di penitenza, di preghiera, di carità. 5) Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60° anno iniziato; alla legge dell’astinenza coloro che hanno compiuto il 14° anno di età. 6) Dall’osservanza dell’obbligo della legge del digiuno e dell’astinenza può scusare una ragione giusta, come ad esempio la salute. Inoltre, «il parroco, per una giusta causa e conforme alle disposizioni del Vescovo diocesano, può concedere la dispensa dall’obbligo di osservare il giorno (…) di penitenza, oppure commutarlo in altre opere pie; lo stesso può anche il Superiore di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, se sono clericali di diritto pontificio, relativamente ai propri sudditi e agli altri che vivono giorno e notte nella loro casa» (29).
Orientamenti pastorali
14. Presentiamo ora, alla luce dei libri liturgici, delle usanze ecclesiali e della maturazione spirituale dei fedeli, alcuni orientamenti pastorali. Può essere di grande utilità proporre il digiuno e l’astinenza, unitamente a momenti di preghiera e a forme di carità: a) alla vigilia di eventi significativi per la comunità ecclesiale, come sono, ad esempio, la Confermazione, l’Ordinazione, la Professione religiosa, la Dedicazione della chiesa o la Festa del patrono o del titolare; b) nella preparazione o nello svolgimento degli Esercizi e Ritiri spirituali, delle Missioni al popolo, o di circostanze analoghe, come sono i Sinodi, le riunioni d’inizio o fine anno pastorale; c) nelle Quattro Tempora (30)e, analogamente, nelle ricorrenze collegate alla pietà popolare, come nella vigilia delle feste dei Santi o nei pellegrinaggi; d) in particolari circostanze civili ed ecclesiali, nelle quali si fa più urgente il ricorso a Dio e impellente l’aiuto fraterno (catastrofi, carestie, guerre, disordini sociali, discriminazioni etniche, crimini contro le persone).
15. Partecipi della sollecitudine pastorale dei nostri sacerdoti, li invitiamo a sviluppare una costante opera educativa verso i fedeli loro affidati, così che la pratica penitenziale si inserisca in modo abituale e armonico nella vita cristiana personale e comunitaria. In tal senso possono essere utili i seguenti suggerimenti. a) Nel tempo sacro della Quaresima i Vescovi, i presbiteri, i diaconi, i religiosi, ma anche i catechisti e gli educatori, favoriscano la riscoperta e l’approfondimento dell’originalità cristiana del digiuno e dell’astinenza, collegandoli intimamente con l’impegno a maturare nella vita di fede e di carità. In tal senso sono da valorizzare l’ascolto e la meditazione della parola di Dio, una più intensa vita liturgica, iniziative di preghiera personale e di gruppo, forme di carità e di servizio. b) Ogni anno, durante la Quaresima, si propongano alle comunità parrocchiali, ma anche a gruppi, movimenti e associazioni, uno o più interventi di aiuto a favore delle situazioni di bisogno, verso le quali far convergere i «frutti» del digiuno e della carità. E giusto che la comunità abbia poi il resoconto di quanto si è attuato. c) È particolarmente importante assicurare il coordinamento delle varie iniziative catechistiche, liturgiche e caritative in ambito sia nazionale che locale; così da assumere qualche impegno penitenziale condiviso da tutti: si renderà più visibile e incisivo il cammino penitenziale della comunità cristiana come tale. d) Al fine di diffondere e di approfondire la coscienza cristiana della penitenza, i vari organismi diocesani — specialmente i Consigli presbiterali e pastorali, il seminario e gli Istituti di Scienze Religiose —‘ nonché i superiori degli Istituti di vita consacrata, le comunità parrocchiali, i responsabili delle aggregazioni ecclesiali e gli operatori della comunicazione sociale potrebbero promuovere momenti di riflessione sul digiuno e sull’astinenza nella vita dei singoli cristiani e delle comunità ecclesiali, così da proporre e programmare in modo convincente, soprattutto all’inizio della Quaresima, cammini formativi e iniziative di penitenza.
16. L’insieme di queste riflessioni, destinate a rimotivare e a rinvigorire la prassi penitenziale del digiuno e dell’astinenza all’interno della comunità cristiana, non può concludersi senza un appello particolare alle famiglie e a quanti hanno responsabilità educative. I genitori e gli educatori avvertano l’importanza e la bellezza di formare i fanciulli, i ragazzi e i giovani al senso dell’adorazione di Dio e all’atteggiamento della gratitudine per i suoi doni: da questa radice religiosa scaturirà la forza per l’autocontrollo, la sobrietà, la libertà critica di fronte ai bisogni superflui indotti dalla cultura consumista, il dono sincero di sé attraverso il volontariato, l’impegno a costruire rapporti solidali e fraterni. I genitori, per primi, sentano la responsabilità di essere testimoni con la loro stessa vita, segnata da sobrietà, apertura e attenzione operosa agli altri. Non indulgano alla diffusa tendenza di assecondare in tutto i figli, ma propongano loro coraggiosamente forti ideali e valori di vita, e li accompagnino a conseguirli con convinzione e generosità e senza temere l’inevitabile fatica connessa. Spingano verso uno stile di vita contrassegnato dalla gratuità e da uno spirito di servizio che sa vincere l’egoismo e l’indolenza. Quest’opera educativa ha motivazioni evangeliche e risorse originali: è parte integrante di quella formazione alla fede, alla preghiera personale e liturgica e al coinvolgimento attivo e responsabile nella vita e missione della Chiesa che i genitori cristiani sono chiamati ad assicurare ai loro figli in forza del ministero ricevuto con il sacramento del Matrimonio (31). Anche nella scuola, in particolare attraverso l’insegnamento della religione cattolica, si espongano i motivi e le forme del digiuno cristiano e si illustrino i significati personali e sociali dell’impegno penitenziale e in generale di ogni sforzo ascetico equilibrato. I giovani siano istruiti anche circa l’obbligo morale e canonico del digiuno, che ha inizio con i 18 anni (32). Ai fanciulli e ai ragazzi si propongano forme semplici e concrete di astinenza e di carità, aiutandoli a vincere la mentalità non poco diffusa per la quale il cibo e i beni materiali sarebbero fonte unica e sicura di felicità e a sperimentare la gioia di dedicare il frutto di una rinuncia a colmare la necessità del fratello: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35).
CONCLUSIONE
Una grazia e una responsabilità per tutta la Chiesa
17. Con la pratica penitenziale del digiuno e dell’astinenza la Chiesa accoglie e vive l’invito di Gesù ai discepoli ad abbandonarsi fiduciosi alla Provvidenza di Dio, senza alcuna ansia per il cibo: «La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito… Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia… Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta» (Lc 12,23.29.3 1). La comunità cristiana deve mantenere viva la coscienza di essere destinataria di una particolare grazia ed insieme protagonista di una conseguente responsabilità, anche nell’ambito della penitenza. Cristo vuole la sua Chiesa come custode vigile e fedele del dono della salvezza: essa proclama questo dono nella confessione della fede, lo comunica con la celebrazione dei sacramenti e lo manifesta con la testimonianza della vita. I cristiani, partecipi per la grazia del Signore alla vita e alla missione della Chiesa, possono e devono dare un contributo originale e determinante, non solo all’edificazione del Corpo di Cristo, ma anche al benessere spirituale e sociale della comunità umana. Tale contributo è offerto anche dal loro stile di vita sobrio e talvolta austero: così diventano costruttori di una società più accogliente e solidale, e fanno crescere nella storia quella «civiltà dell’amore» che trova il suo principio nella verità proclamata dal Concilio con le parole: «L’uomo vale più per quello che è che per quello che ha» (33).
Roma, dalla sede della C.E.I., 4 ottobre 1994 Festa di S. Francesco d’Assisi Patrono d’Italia
CAMILLO Card. RUINI Vicario Generale di Sua Santità per la diocesi di Roma Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
DIONIGI TETTAMANZI Segretario Generale
NOTE
1. | Cfr. Delibera n. 27 (ECEI 3, n. 2282). |
2. | PAOLO VI, Cost. apost. Paenitemini, i7 febbraio 1966 (EV 2, 625). |
3. | All’esperienza del digiuno di Gesù la Chiesa nella sua liturgia collega l’istituzione quaresimale: «Egli consacrò l’istituzione del tempo penitenziale — così canta nel Prefazio della Prima Domenica di Quaresima — con il digiuno dei quaranta giorni e vincendo le insidie dell’antico tentatore ci insegnò a dominare le seduzioni del peccato». |
4. | Cfr. Es 34,28; 1 Re 19,8. |
5. | Cfr. 1Sam 7.6. |
6. | Cfr.GI 2,12-18; Ne 8,13-9,2. |
7. | Cfr. Ne 1,4; 2Cr 20,3; 2Mc 13,12; Dn 9,3. |
8. | Cfr. Gdt 8,6; Est 4,3.16. |
9. | SANT’AMBROGIO, Storia di Nabot X, 45. |
10. | SANT’AGOSTINO, Discorso 209,2. |
11. | SAN PIETRO CRISOLOGO, Discorso 43: PL 52, 320. |
12. | «Ogni anno — così loda la Chiesa il suo Dio — tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché assidui nella preghiera e nella carità operosa attingano ai misteri della redenzione la pienezza della vita nuova» (Messale romano, I Prefazio di Quaresima). |
13. | Cfr. CEI, Evangelizzazione e Sacramenti, 85 (ECEI, 2,476). |
14. | SAN LEONE MAGNO, Discorso 6 sulla Quaresima, 1,2. |
15. | Cfr. Sacrosanctum Concilium, 109-110 (EV 1, 194-198). |
16. | PAOLO VI, Cost. apost. Paenitemini, I (EV 2,628). |
17. | Ivi, III (EV 2, 641-642). |
18. | Cfr.Mt 15,11. |
19. | Cfr. Sal 50, 12-15. |
20. | Cfr. Sacrosanctum Concilium, 110 (EV 1,197). |
21. | PAOLO VI, Cost. apost. Paenitemini, III (EV, 644). |
22. | Cfr. Sacrosanctum Concilium, 110 (EV 1,198); l’estensione al Sabato santo è consigliata anche nelle «Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario», n. 19 (Messale romano p. LV). |
23. | CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, 28 (ECEI 4, 2747); Cfr. CEI, Precisazioni sull’anno liturgico, Messale romano, 2a ed., p. LX-LXI. |
24. | Didascalia Apostolica V, 20,18. |
25. | CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 4 (ECEI 4, 2721). |
26. | Cfr. CIC, can. 1250-1253. |
27. | PAOLO VI, Cost. apost. Paenitemini, III (EV 2, 647) |
28. | Cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 110 (EV 1, 198). |
29. | CIC, can. 1245. |
30. | Cfr. CEI, Precisazioni sull’anno liturgico. Messale romano, 2a ed., p. LX (ECEI 3, 1406-1409). |
31. | Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Familiaris consortio, nn. 38-39. |
32. | Cfr. CIC, can. 1252. |
33. | «Gaudium et spes. 35. |
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