Fonte Vatican News
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Non si volti la testa di fronte ai deboli, ma si agisca per sollevarli dalla sofferenza, impegnandosi socialmente e politicamente. Il Papa, nella Messa per la V Giornata mondiale dei poveri, celebrata nella Basilica di San Pietro, chiama i cristiani ad essere convertitori di bene
La storia è segnata di tribolazioni, violenze, sofferenze e ingiustizie che feriscono, opprimono e schiacciano i poveri, “gli anelli più fragili di questa catena”, in attesa di una liberazione che sembra non arrivare mai. Francesco, nell’omelia per la Messa in occasione della V Giornata mondiale dei poveri, nella Basilica di San Pietro, lancia un richiamo ai cristiani tutti a non voltarsi di fronte ai più deboli, parla dei due aspetti della storia: del dolore di oggi e della speranza di domani, da una parte quindi le dolorose contraddizioni della realtà umana e dall’altra il futuro di salvezza riposto nell’incontro col Signore.
La Giornata Mondiale dei Poveri, che stiamo celebrando, ci chiede di non voltarci dall’altra parte, di non aver paura a guardare da vicino la sofferenza dei più deboli
È il Vangelo che aiuta a capire l’esistenza di queste persone, che hanno la vita oscurata dalla solitudine, le attese spente e i sogni caduti nella rassegnazione:
Tutto ciò a causa della povertà a cui spesso sono costretti, vittime dell’ingiustizia e della disuguaglianza di una società dello scarto, che corre veloce senza vederli e li abbandona senza scrupoli al loro destino.
I cristiani risanino il dolore di oggi
Nel dolore dell’oggi, però, fiorisce la speranza di domani, di quando Gesù si fa vicino, che non è solo “una promessa dell’aldilà”, spiega il Papa, ma qualcosa che “cresce già ora dentro la nostra storia ferita, abbiamo il cuore ammalato tutti, si fa strada tra le oppressioni e le ingiustizie del mondo”. Di qui la fondamentale indicazione ai cristiani ai quali, di fronte a questa realtà, è richiesto di “nutrire la speranza di domani risanando il dolore di oggi”, due aspetti collegati, ribadisce, perché “se tu non vai avanti risanando i dolori di oggi difficilmente avrai la speranza di domani”.
La speranza che nasce dal Vangelo, infatti, non consiste nell’aspettare passivamente che un domani le cose vadano meglio, questo non è possibile, ma nel rendere oggi concreta la promessa di salvezza di Dio. Oggi, ogni giorno. La speranza cristiana non è infatti l’ottimismo beato, anzi direi l’ottimismo adolescente, di chi spera che le cose cambino e nel frattempo continua a farsi la sua vita, ma è costruire ogni giorno, con gesti concreti, il Regno dell’amore, della giustizia e della fraternità che Gesù ha inaugurato.
La speranza cristiana, prosegue, “non è stata seminata. La speranza cristiana, per esempio, non è stata seminata dal levita e dal sacerdote che sono passati davanti a quel ferito dai ladri: no. È stata seminata da un estraneo, da un samaritano che si è fermato e ha fatto il gesto. E oggi è come se la Chiesa ci dicesse: Fermati e semina speranza nella povertà. Avvicinati ai poveri e semina speranza. La speranza di lui, la speranza tua e la speranza della Chiesa”.
Ai fedeli quindi chiede di essere, tra le quotidiane rovine del mondo, instancabili costruttori di speranza; di essere luce mentre il sole si oscura; di essere testimoni di compassione mentre attorno regna la distrazione; di essere presenze attente nell’indifferenza diffusa e di essere testimoni di compassione:
Noi non potremo mai fare del bene senza passare per la compassione. Al massimo faremo cose buone, ma che non toccano la via cristiana perché non toccano il cuore. Quello che ci fa toccare il cuore è la compassione: ci avviciniamo, sentiamo la compassione e facciamo gesti di tenerezza. Proprio lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo ci chiede oggi.
Necessario organizzare la speranza
Non ci si deve limitare a sperare, ma bisogna organizzare la speranza: era quanto indicava il “vescovo vicino ai poveri” don Tonino Bello, che Francesco cita quale esempio per sollecitare “scelte e gesti concreti di attenzione, giustizia, solidarietà, cura della casa comune”, senza i quali “le sofferenze dei poveri non potranno essere sollevate, l’economia dello scarto che li costringe a vivere ai margini non potrà essere convertita, le loro attese non potranno rifiorire”:
A noi, specialmente a noi cristiani, tocca organizzare la speranza: bella quell’espressione di Tonino Bello, organizzare la speranza, tradurla in vita concreta ogni giorno, nei rapporti umani, nell’impegno sociale e politico. A me fa pensare il lavoro che fanno tanti cristiani con le opere di carità, cosiddette, il lavoro dell’Elemosineria apostolica: ma cosa si fa, lì? Si organizza la speranza. Non si dà una moneta, no: si organizza la speranza. Questa è una dinamica che oggi ci chiede la Chiesa
I cristiani siano convertitori di bene
È grazie alla tenerezza, alla compassione che porta alla tenerezza, che potrà germogliare la speranza e si potrà sollevare il dolore dei poveri, superando le chiusure, le rigidità interiori che, oggi, sono tentazione, indica il Papa, “dei restaurazionisti che vogliono una Chiesa tutta ordinata, tutta rigida: questo non è dello Spirito Santo. E noi dobbiamo superare questo e far germogliare in questa rigidità la speranza. E sta a noi anche superare la tentazione di occuparci solo dei nostri problemi, per intenerirci dinanzi ai drammi del mondo, per compatire il dolore”. I cristiani sono quindi chiamati ad essere come le foglie, “ad assorbire l’inquinamento che ci circonda e a trasformarlo in bene”:
Non serve parlare dei problemi, polemizzare, scandalizzarci – questo lo sappiamo fare tutti –; serve imitare le foglie, che senza dare nell’occhio ogni giorno trasformano l’aria sporca in aria pulita. Gesù ci vuole “convertitori di bene”: persone che, immersi nell’aria pesante che tutti respirano, rispondono al male con il bene (cfr Rm 12,21). Persone che agiscono: spezzano il pane con gli affamati, operano per la giustizia, rialzano i poveri e li restituiscono alla loro dignità, come ha fatto quel samaritano.
La Chiesa, conclude Francesco, è bella, evangelica e giovane, una Chiesa che esce da se stessa. Giovane è l’aggettivo che il Papa sottolinea per dire che è la gioventù che semina speranza. Questa è una Chiesa profetica, quando guarda con tenerezza ai poveri, “con vicinanza, con compassione, senza giudicarli. Noi saremo giudicati …Perché lì, presso di loro, c’è Gesù; perché lì, in loro, c’è Gesù, che ci attende.”
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