La prima lettura, di domenica, viene sempre dall’Antico Testamento ed è direttamente collegata al tema del Vangelo. Nella liturgia feriale invece avviene il contrario: la prima lettura può essere del Nuovo o dell’Antico Testamento perché si legge un libro in modo continuato e il Vangelo è scelto in riferimento
ad esso.
Segue il salmo detto “responsoriale” perché non si tratta più di ascoltare soltanto ma siamo già chiamati a dire anche noi qualcosa perché è fondamentale fare nostre le parole che ascoltiamo, capirle e ripeterle per vedere se abbiamo capito, un po’ come quando si studia. Il rito del salmo responsoriale è proprio, come diceva san Filippo, un “parlare la parola di Dio”. Peraltro, la ripetizione di un ritornello non è l’unica forma possibile per pregarlo, lo stesso ritornello proposto potrebbe essere usato come antifona all’inizio e alla fine oppure può essere ripetuto più volte e anche cambiato.

Segue il canto al Vangelo. “Alleluia” è il canto di Pasqua, della risurrezione e ci aiuta a vedere quella che andiamo ad ascoltare come una parola viva perché la parola del risorto. Egli è vivo, non come quelli che aveva risuscitati e che sono morti di nuovo. Gesù è risorto una volta per sempre ed è sempre vivo e operante e lo incontriamo soprattutto nella sua Chiesa. È un canto, si chiama appunto “canto al Vangelo”. In Quaresima al posto dell’Alleluia si esegue un altro canto al Vangelo per sentire la privazione dello sposo di cui Gesù stesso parla nel Vangelo a proposito del digiuno e sentire tutto il desiderio di esplodere finalmente nel suo canto a Pasqua. Tuttavia, questa espressione quaresimale ha lo stesso significato.
Anche il Vangelo si legge in modo continuato: ogni anno viene letto uno dei tre vangeli sinottici più o meno completamente. Vangelo significa letteralmente “buon messaggio”: qual è questo messaggio che ci viene rivolto? Gesù stesso. Quando egli parla, parla di sé stesso perché quando viene è il Regno di Dio già presente in mezzo a noi: incontrando e ascoltando Gesù ci siamo già dentro con un piede. Importantissimo è il segno di croce, detto “minore”, che si fa mentre diciamo la risposta “Gloria a te, o Signore”. Sono tre segni di croce tracciati con il pollice sulla fronte, sulla bocca e sul cuore. Questo segno di croce è molto più antico rispetto a quello che facciamo su tutto il corpo; lo troviamo addirittura nella Scrittura: c’è già nel libro del profeta Ezechiele e nell’Apocalisse dove compare il comando di segnare gli eletti con un “tau”, la lettera greca scritta come una croce. Il senso è che quella parola viva ci entri in testa: anzitutto perché se non entra fisicamente attraverso le orecchie siamo già fermi ma soprattutto perché vi entri come rinnovamento della mentalità.
Poi che sia sulla bocca: il nostro parlare è stato consacrato perché Dio si è rivelato prima attraverso parole umane e poi attraverso la sua Parola definitiva incarnata; la consacrazione della bocca attraverso questo segno è anche l’impegno che ci assumiamo di andare a dirla agli altri. Infine, che l’ascolto non sia solo con la testa ma soprattutto col cuore. Cor ad cor loquitur: il cuore di Dio che è Gesù vuole parlare al nostro cuore e con questo piccolo segno lo rendiamo disponibile ad ascoltarlo.
A cura del Gruppo Liturgico Parrocchia Gesù Risorto
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