Pubblichiamo il testo integrale dell’Omelia pronunciata in occasione
del Solenne Pontificale di San Matteo dal nostro Arcivescovo, S.E. Mons. Andrea Bellandi.
OMELIA SOLENNITA’ DI SAN MATTEO (21 settembre 2020)
Saluto innanzitutto, cordialmente,le diverse autorità civili e militari presenti, oggi rappresentate dai soli vertici, per le note restrizioni cui abbiamo dovuto e voluto sottostare.Saluto con particolare affetto i diversi Vescovi che ci onorano della loro gradita presenza, i sacerdoti e i diaconi, anch’essi in rappresentanza dei molti che non hanno potutopartecipare di persona, sempre per il rispetto delle norme ministeriali che prevedono un numero limitato di presenze nelle celebrazioni all’interno dei luoghi di culto. Saluto cordialmente anche gli altri fedeli – in rappresentanza delle diverse Parrocchie, associazioni, gruppi e movimenti–così come i rappresentanti delle diverse paranze.Un particolare saluto, infine, ai seminaristi e a quanti – coro, volontari, personale delle forze dell’ordine, giornalisti – contribuiscono a vari livelli allo svolgimento ordinato e solenne della celebrazione. Da ultimo un affettuoso saluto anche a coloro che ci seguono da casa, collegati attraverso Telediocesi e i diversi mezzi di comunicazione sociale.
Quest’anno la festa del nostro Santo Patrono si celebra in un momento storico gravido di preoccupazioni, interrogativi circa il futuro, difficoltà a vari livelli, non ultime quelle concernenti la ripartenza delle attività scolastiche e quelle connesse al settore economico, con molte imprese che guardano con ansia ai prossimi mesi. Inoltre, anche il clima sociale – comprensibilmente – sembra attraversare un momento di (chiamiamola) “turbolenza”. Se nei mesi del lockdownnoi tutti eravamo rimasti ammirati dal senso di responsabilità espresso dalla stragrandemaggioranza delle persone, dai medici e personale sanitario ai volontari della Protezione civile, da coloro – lavorando in ambiti per così dire strategici – avevano garantito a tutti le condizioni minimali per vivere, fino a tutti gli addetti alla sicurezza, nel momento attuale – invece – purtroppo si evidenziano nella società civile sempre più numerosi segni di insofferenza e rinnovati cedimenti alla litigiosità. La tentazione di guardare esclusivamente al proprio benessere e di “puntare il dito” verso gli altri trova sempre minore resistenza e limiti. Certamente possono a volte notare– a livello delle istituzioni, ma non solo – alcune incertezze, carenze, decisioni contraddittoriecirca le vie da intraprendere per garantire al tempo stesso sicurezza sanitaria e ripresa delle diverse attività; ma non bisogna nemmeno dimenticare, però, che la crisi che stiamo attraversando è realmente complessa, difficilmente prevedibileneglisviluppifuturie carica di conseguenze differenziatenei molteplici settori della vita sociale. Dobbiamo perciò con lealtà riconoscerlo: le soluzioni non sono spesso facili da individuare, nonostante l’impegno e la buona volontà di molti rappresentanti della vita civile.
Il problema è che, talvolta, sembranoprevalere logiche e prospettive fortemente individualistiche, chefacilitano così il diffondersi di una conflittualità sociale che certamente non aiuta l’affronto dell’emergenza attuale,e di cui gli atti di efferata violenza,che purtroppo si registrano ormai quasi quotidianamente contro le persone più deboli e indifese, rischiano di non essere altro che la punta di un iceberg di un malessere profondo che il Covid-19 ha sì contribuito ad amplificare, ma che non ha certo generato dal nulla.
Per questo risulta quanto mai significativa e appropriata ai tempi che viviamo la decisione del Santo Padre Francesco di dedicare la sua terza enciclica – che sarà da lui firmata il prossimo 3 ottobre sulla tomba di San Francesco ad Assisi – al tema della fratellanza e dell’amicizia sociale e che avrà come titolo programmatico: “Fratelli tutti”. Sarà un documento da cui sicuramente tutti e ognuno, ai diversi livelli di responsabilità, dovremo trarne motivi profondi di riflessione e anche di “conversione”, se vogliamo che il futuro della nostra società e – più in generale, del mondo intero – si incammini verso prospettive di maggiore giustizia, solidarietà, collaborazione comune.
Certamente noi cristiani dobbiamo essere i primi non solo ad indicare la strada verso una società più umana e fraterna –diciamolo pure, più evangelica – ma dobbiamo soprattutto essere in prima fila a testimoniarla possibile, con il nostro esempio e la nostra buona volontà. Questo perché siamo stati raggiunti, scelti e convocati dal Signore e dalla sua parola salvifica ad esserne i primi testimoni credibili. E’a questa responsabilità che ci richiama lo stesso San Paolo, nella Lettura che abbiamo appena ascoltato: «Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti».E’ a quest’opera comune che ognuno di noi è chiamato, secondo il compito che Dio gli ha affidato: “edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”.Raggiungerequesta pienezza di Cristo è la vocazione stessa della Chiesa e, in essa senza soluzione di continuità, del singolo cristiano. Ciò significa diventare sempre di più segno di Cristo, sua trasparenza: significa rispondere a quella chiamata alla santità che, con il Battesimo, ogni cristiano ha ricevuto, con lo stesso entusiasmo con il quale San Matteo ha risposto alla chiamata di Gesù.
“Corrispondere alla vocazione cristiana” e seguire ogni giorno il Signore: questo è il cammino della santità e ad esso siamo tutti chiamati. Lo diceva il papa emerito Benedetto durante una sua Udienza nell’aprile 2011: «Che cosa vuol dire essere santi? Chi è chiamato ad essere santo? Spesso si è portati ancora a pensare che la santità sia una meta riservata a pochi eletti. San Paolo, invece, parla … di noi tutti. […] La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua. […] Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Chiesa, parla con chiarezza della chiamata universale alla santità, affermando che nessuno ne è escluso… Ma rimane la questione: come possiamo percorrere la strada della santità, rispondere a questa chiamata? Posso farlo con le mie forze? La risposta è chiara: una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre azioni, perché è Dio, il tre volte Santo (cfr Is 6,3), che ci rende santi, è l’azione dello Spirito Santo che ci anima dal di dentro, è la vita stessa di Cristo Risorto che ci è comunicata e che ci trasforma. […]».
Che cosa è essenziale? – si domanda ancora Papa Benedetto. «Essenziale è non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell’Eucaristia; questo non è un peso aggiunto, ma è luce per tutta la settimana. Non cominciare e non finire mai un giorno senza almeno un breve contatto con Dio. E, nella strada della nostra vita, seguire gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato nel Decalogo letto con Cristo, che è semplicemente l’esplicitazione di che cosa sia carità in determinate situazioni. Mi sembra che questa sia la vera semplicità e grandezza della vita di santità: l’incontro col Risorto la domenica; il contatto con Dio all’inizio e alla fine del giorno; seguire, nelle decisioni, gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato, che sono solo forme di carità. Perciò il vero discepolo di Cristo si caratterizza per la carità verso Dio e verso il prossimo”».
Carissimi, da tempo immemorabile questa città ha trovato nel suo Santo Patrono Matteo e in ciò che la sua vita rappresenta e testimonia – ovvero tutta la grandezza e ricchezza dell’annuncio evangelico e della tradizione cristiana – un punto di riferimento fondamentale per costruire una vita sociale fondata sugli ideali del rispetto della persona, dell’uguaglianza, dell’accoglienza della difesa del più debole, della carità.Quest’anno, nel quale,per le note ragioni, non si svolgerà la processione, siamo forse provvidenzialmente “costretti” a riandare all’origine vera e autentica della nostra devozione a San Matteo, per ritrovarne lì le radici più profonde e spirituali. Chiediamo quindi allo stesso San Matteo – e tramite lui al Signore – che ci aiuti a ritrovare nel patrimonio della fede i motivi adeguati e la forza necessaria per vivere in pienezza il nostro compito e la nostra responsabilità di cristiani in questo difficile ma stimolante “cambiamento d’epoca”, comelo chiama Papa Francesco. Sarebbe, questo, un modo per onorare e festeggiare il nostro Patronocon più verità e maggior frutto, per ciascuno di noi e per l’intera comunità – civile ed ecclesiale – di Salerno.
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